La parola “trifolau” viene dal dialetto piemontese e indica colui che gli addetti ai lavori chiamano il “cavatore”, cioè il cercatore di tartufi. Si tratta di una figura romantica, nella quale si incrociano leggende, storia e riti scaramantici. Dall’abbigliamento, cappello da contadino, fazzoletto al collo e mantella corta, al raggio d’azione, i boschi dell’Albese, dall’inconsueto ”orario di lavoro”, rigorosamente notturno, alla compagnia di un tabui, il tipico cane da cerca: tutti questi elementi rendono il trifolau una figura affascinante, ben lontana dal potersi definire semplicemente un antico mestiere. Secondo i racconti dei trifolau di oggi, una volta il cavatore di tartufi non era che un normale contadino che, alla fine della giornata nei campi, cercava di integrare il raccolto, specialmente in momenti duri, con la ricerca dei tartufi.
Oggi invece i trifolau sono circa 5.000 persone con l’hobby di cercare tartufi. Vigile del fuoco, avvocato, pensionato, metalmeccanico, maresciallo, insegnante, ma anche professionisti della ricerca... è la passione che muove il trifolau dei nostri tempi, una vera e propria “malattia ereditaria” che si trasmette di padre in figlio da generazioni. Anche oggi il trifolau si muove di notte, ma non per particolari motivi scaramantici, come leggenda vorrebbe, ma perché di giorno lavora e i cani per seguire l’odore non hanno bisogno di vedere. Un’attività da svolgere con estrema pazienza, senza fretta. E se una volta bastava smuovere la terra con la testa del sapin (lo zappino che il trifolau utilizza per scavare la terra intorno al tartufo, in modo da poterlo tirare fuori senza rovinarlo), oggi è indispensabile il fiuto finissimo di cani addestrati al riconoscimento dell’aroma dei tartufi, tanto che esiste persino l’Università dei cani da Tartufo a Roddi d’Alba. Il trifolau si muove secondo precise regole: conosce luogo e periodo di comparsa del tartufo e con il suo sapinlo estrae con la massima delicatezza per permettere la formazione di nuove radichette e, in questo modo assicurare la futura formazione di un nuovo corpo fruttifero. Per dedicarsi all’attività di cavatore è necessario possedere un tesserino: esiste un’associazione – Associazione Trifolau e proprietari di piante da tartufo dell’Albese, delle Langhe e Roero e Monregalese della provincia di Cuneo – che, previo un esame, rilascia il patentino necessario a svolgere l’attività di raccolta. Una cautela fondamentale per impedire che cavatori dilettanti rovinino l’habitat con manovre sbagliate che metterebbero a rischio la futura crescita dei tartufi, la cui quantità, in quelle zone, è già in diminuzione.