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A CARNEVALE, VIA IL FEUDATARIO!

“Una volta anticamente
egli è certo che un Barone,
ci trattava duramente
con la corda e col bastone…”

Così inizia l’Inno del Carnevale d’Ivrea, del 1858, cantato su una baldanzosa marcia che esprime lo spirito del melodramma italiano e del periodo risorgimentale. L’inno racconta una storia di “vittoria popolana”. Il cattivo di questa storia è un signore feudale che, dal suo castello, tratta con crudeltà i popolani e ordina, addirittura, il rapimento della figlia di un mugnaio per farne la sua “ganza” cioè la sua amante: questo misfatto ricorda un po’ il progetto del rapimento di Lucia Mondella da parte del perverso Don Rodrigo, nel romanzo ottocentesco “I promessi sposi” del Manzoni, non è vero? La figlia del mugnanio d’Ivrea, detta la Vezzosa Mugnaia, è però meno remissiva di Lucia Mondella: decide di trattare “a tu per tu” il rapitore e di “insegnargli la creanza”; il popolo d’Ivrea, intanto, si solleva contro il malvagio feudatario, distrugge il castello e poi, sulle rovine del maniero, canta suona e balla. Liberi tutti, perché, come intona l’inno, “il Castello non c’è più”.

La rivolta del popolo contro il feudatario e contro le sue pretese di violare fanciulle non viene rievocata solo nel Carnevale d’Ivrea, ma anche in altri carnevali storici del Piemonte. Interessante è il caso del Carnevale di Crescentino, nel Vercellese: la festa rievoca la figura eroica della giovane Papetta, anche lei figlia di un mugnaio; il suo soprannome, Papetta, alluderebbe appunto alla “pappa” della polenta che sfamava i popolani. Siamo, secondo la leggenda carnevalesca, nel 1529: Papetta finge astutamente di sottostare al diritto feudale del signore di Crescentino, il conte Riccardo IV Tizzoni che pretende di trascorrere con le novelle spose le ore successive al matrimonio. La ragazza dunque va dal nobiluomo e a sorpresa… gli taglia la testa! Anche a Crescentino, analogamente a Ivrea, i popolani si sollevano contro il dispotico feudatario, fiancheggiati dagli abitanti del vicino borgo di Vische che si sono appena ribellati al loro signore. La leggenda di Crescentino, come altre tradizioni carnevalesche, richiama modelli letterari più antichi: possiamo pensare, in particolare, alla storia della giovane eroina Giuditta che, secondo la Bibbia, si recò dal generale Oloferne vestita in modo seducente ed approfittò della notte per decapitarlo.

La leggenda dell’uomo potente che esige, per diritto feudale, di giacere con la sposa sostituendosi al marito nella prima notte di nozze, si ritrova non solo a Crescentino, ma in altri luoghi del Piemonte come ad esempio nel Carnevale di Rocca Grimalda nell’Alto Monferrato, chiamato la Lachera. Qui, secondo la tradizione, il feudatario del luogo manda i suoi “bravi” a casa di due novelli sposi per rapire la ragazza, ma la popolazione del borgo decide di vegliare con la coppia tutta la notte e così il rapimento è sventato; il giorno successivo, che è il giovedì grasso di Carnevale, gli sposi, con servitori detti “Laché” (da cui il nome “Lachera”) con maschere e musicanti, escono in un allegro corteo per le strade del paese, per celebrare il trionfo dell’amore coniugale.

Dobbiamo credere del tutto a queste storie carnevalesche, che si sentono rievocare anche al di fuori del Piemonte? Un elemento ci fa pensare di no, perché ritroviamo in alcune di queste vicende un’eco dello “ius primae noctis”, cioè del diritto del signore feudale di sostituirsi al marito, con la sposa novella, nella prima notte di nozze. Secondo la maggior parte degli studiosi, fra i quali il famoso storico Alessandro Barbero, lo “ius primae noctis” non era praticato nell’Europa medievale ed è una leggenda creata in età moderna, per denigrare il sistema feudale. Sulla leggenda dello “ius primae noctis” sono sorte opere celebri della letteratura e dell’arte, soprattutto fra Illuminismo e Romanticismo: basti pensare alla commedia settecentesca “La Mariage de Figaro” del francese Beaumarchais, da cui derivò l’opera buffa “Le nozze di Figaro” di Da Ponte e Mozart.

Altri studiosi contemporanei, inoltre, considerano l’uccisione del tiranno violento, nelle leggende carnevalesche, come un’eco di miti ben più antichi, anzi ancestrali: questi miti alluderebbero all’allontanamento del male e alla propiziazione della fecondità umana, oltre che al rinnovamento della fertilità della natura alla fine dell’inverno. Pensiamo appunto agli sposi della Lachera di Rocca Grimalda, che già abbiamo citato. La coppia di sposi di Rocca Grimalda celebra il compimento del suo amore dopo aver sconfitto il malvagio, con il seguito di tutta la comunità, circondata da personaggi adorni di fiori come i Trapulin che festeggiano e alludono danzando al rinnovamento della natura. Gli sposi sono accompagnati inoltre da un personaggio androgino come il Bebé, immagine di rinnovamento e giocosità che unisce in sé elementi maschili, femminili e fanciulleschi.

Sicuramente l’eliminazione del tiranno, rievocata a Carnevale, può conservare memoria di vicende storiche più precise e non solo di miti. Non è un caso se la Vezzosa Mugnaia e altri partecipanti al Carnevale d’Ivrea indossano un berretto rosso: probabilmente è una derivazione dal “berretto frigio”, che era utilizzato come simbolo dei Giacobini durante la Rivoluzione Francese a fine Settecento e che si diffuse con le idee rivoluzionarie anche in Piemonte.

Basta, insomma, scavare un po’ sotto la superficie dei nostri festeggiamenti carnevaleschi, apparentemente spensierati e innocenti, per vedere riaffiorare la storia, il mito, le paure e le speranze di chi ci ha preceduto.

 

Indirizzo 
Italy
Partecipanti al Carnevale storico di Ivrea col berretto rosso (foto Laurom)